L'imitazione
(dal latino imitatio) rappresenta nella
cultura del Classicismo umanistico e rinascimentale
l'istituto fondativo del sistema morale ed estetico,
proprio perché il recupero degli Antichi
ne propone in maniera obbligante il valore esemplare di
modelli. Sin dagli albori dell'Umanesimo la necessità di
tornare al rapporto con gli Antichi per ricavarne
insegnamenti e norme da applicare alla realtà
contemporanea riguarda non solo gli statuti delle arti,
ma anche la sfera della politica, delle virtù
individuali e della vita di relazione. Già in Petrarca
la sensibilità per il rapporto
privilegiato con i poeti e i pensatori antichi
coesiste con l'entusiasmo per l'esperimento politico di
Cola
di Rienzo, che sembrava resuscitare i fasti
repubblicani nella Roma abbandonata dai pontefici avignonesi,
e così pure l'Umanesimo fiorentino elabora inediti
valori formali intorno al concetto di humanitas,
ma al tempo stesso investe la sua nuova consapevolezza
culturale nel governo della Repubblica
fiorentina. Quando, nella seconda metà del
Quattrocento, l'equilibrio tra vita attiva e
contemplativa viene meno e lo sviluppo degli studi
letterari prende un corso autonomo dalle vicende
politiche e statuali, l'imitazione trova conferma e
nuovo alimento nella sintesi classicistica che si impone
nel clima neoplatonico
dominante. La posizione di valori ideali metastorici la
svincola dal piano meramente linguistico e stilistico e
colloca i fatti formali nel quadro trascendente di
avvicinamento ad una perfezione superiore, percepita
come sorgente inesauribile e inattingibile in maniera
esaustiva del fare artistico. Il concetto di
aemulatio ("emulazione") che in Bembo
si sovrappone a quello di imitatio è determinante
per i codici del Classicismo
cinquecentesco, destinati a durare lungo i secoli
successivi nei termini di un'estetica del riuso e della
variazione, a cui la creatività e l'invenzione del
singolo si devono assoggettare. L'affermarsi della
critica e della teoria letterarie di matrice aristotelica
intorno alla metà del secolo, sostituendosi alla
generica ed intuitiva koiné platonica
preesistente, promuove una nuova concezione della poesia
come esercizio razionale, metodo, insieme di norme
comprensibili alla luce della ragione. L'istituto
dell'imitazione
perde il carattere soggettivo e volontaristico che aveva
avuto fino a quel momento per acquisire valenza
oggettiva e "scientifica". L'imitazione diviene ora
l'atto intellettuale che sta alla base e identifica
l'operazione creativa della poesia, verisimile
e universale, distinta dalla storia, che è registrazione
del vero particolare, cioè operazione solo retorica.
Il rapporto tra vero della storia e verosimile della
poesia trova precise articolazioni, scandite in una
serie di gradi intermedi variabili, ma il sistema dei
generi che su questa tassonomia si produce, in maniera
più pronunciata di quanto fosse avvenuto in passato,
pone altresì le premesse per una razionalizzazione della
prassi imitativa, che viene sottratta all'iniziativa del
singolo e si trova a percorrere in maniera obbligata la
storia interna dei fatti letterari, insieme in maniera
diacronica e sincronica, cioè contempla a un tempo
l'ineliminabile rapporto diretto con la tradizione nel
suo sviluppo storico, ma anche esprime tale rapporto al
livello metafisico di sistemi generici, retorici,
linguistici, etici, eccetera, entro i cui confini
precisi il dialogo con gli autori può avere luogo. Con
questa formula, in un panorama letterario alla fine
dell'età rinascimentale abbondantemente
grammaticalizzato, la macchina dell'imitazione si
prepara a svolgere la funzione indispensabile di asse
portante di una civiltà e di un sistema delle arti lungo
tutta la cultura dell'Antico
regime, fino alla brusca virata antiregolistica
e antitradizionale impressa alla cultura europea dal
Romanticismo.
Franco Pignatti
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Percorsi Iconografici:
Imitatione, da Cesare Ripa,
"Iconologia"
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