La prima edizione del Libro del Cortegiano di
Castiglione
fu
pubblicata a Venezia presso Aldo
Manuzio nella primavera del 1528: il testo fu
composto sulla base del manoscritto contenuto nel codice
Laurenziano Ashburnhamiano 409, e dato alle stampe senza
che il suo autore, a quell’epoca impegnato in una
ambasciata in Spagna come nunzio pontificio, potesse
controllarne direttamente le bozze. Nel medesimo anno,
il celebre trattato usciva a Firenze per i tipi dei
Giunta. In realtà, Castiglione aveva inviato a Manuzio
precise indicazioni circa la stampa del
Cortegiano, commissionando al letterato veneziano
Giovan Francesco Valier la revisione linguistica
dell’opera. Alla lezione del manoscritto si rifà
l’edizione moderna del dialogo, annotato da Vittorio
Cian e pubblicato nel 1893; insieme a questo lavoro, è
necessario menzionare gli studi di Ghino
Ghinassi che hanno definitivamente attestato la
presenza di complesse fasi di scrittura sottese
all’elaborazione del testo definitivo. Portata a
termine nel 1516 una prima stesura che comprendeva una
dedica indirizzata a Francesco
I, Castiglione appronta una seconda versione
intorno al 1518 per poi riprenderla fra il 1521 e il
1524: le tre diverse redazioni testimoniano una serie di
cambiamenti sia di carattere formale sia culturale, che
riproducono il progressivo definirsi di una pratica cortigiana
all’interno di una cultura orientata alla ricerca di
modelli universali. Il Cortegiano è composto
di quattro libri: i protagonisti del trattato sono
illustri e dotti personaggi che, impegnati in piacevoli
giochi e in liete conversazioni,
passano virtuosamente il tempo libero della sera, dopo
le occupazioni quotidiane, e decidono di dedicarsi al
gioco di "formar con parole un perfetto
cortegiano". La corte
è quella di Urbino
,
presso la quale Castiglione prestò servizio dal 1504 al
1513: il dialogo
s’immagina avvenuto nel 1507, alla presenza della
duchessa Elisabetta e della signora Emilia Pio. La
struttura dell’opera è modulata sul De oratore di
Cicerone,
sulla Repubblica di Platone
e sulla Ciropedia di Senofonte,
testi cui si riferisce esplicitamente l’autore nella
dedica a monsignor De Silva; l’opera risulta, inoltre,
profondamente imbevuta di una cultura umanistica che fa
capo al De sermone di Pontano
e alle Facetiae
di Bracciolini. La
scelta della forma dialogo rappresenta, inoltre, un
implicito riferimento alla conversazione
cortigiana di cui, nel corso del trattato, si
rappresentano le regole: la discussione sulle materie di
volta in volta prescelte dal gruppo che si è riunito pur
sempre per intrattenimento reciproco, non può
oltrepassare il limite di un’esposizione non
professionale, e deve sempre tener conto delle
circostanze comunicative in cui i dialoghi
si compiono. Dall’esigenza di riqualificare la figura
del cortigiano deriva la trattazione che Ludovico di
Canossa fa nel primo libro, dove sono definite le
caratteristiche fisiche e morali del perfetto "uomo di
corte": viene sottolineata la necessità di comportamenti
prudenti, sapientemente ispirati ad una mediocritas
che si traduce in equilibrato senso della misura.
Categoria centrale di questo sistema di norme è la grazia,
cui dovranno conformarsi i modi di vestire e di parlare,
di muoversi e di mangiare, di apparire e di essere: il
cortigiano, esperto conoscitore di armi e di lettere,
nobile dotato di ogni virtù fisica e morale, avrà come
compito precipuo quello di dissimulare ogni artificio,
in nome di quella sprezzatura
che è specifica forma del suo vivere in corte. Nel
corso del secondo libro, la parola passa da Federico
Fregoso, impegnato ad illustrare le modalità di
applicazione dei precetti delineati in precedenza, a Bernardo
Dovizi da Bibbiena ,
che propone il tema delle facezie
come forma propria dell’intrattenimento cortigiano.
Giuliano de’ Medici illustra, nel terzo libro, i tratti
della perfetta "donna
di palazzo", immagine speculare a quella dell’
"uomo di corte" cui appartengono discrezione e
decoro. Il quarto ed ultimo libro affronta una serie
di tematiche che si differenziano sensibilmente dalle
precedenti, in quanto è in questa sede che vengono
analizzati i rapporti fra principe
e cortigiano
all’interno della struttura politica e sociale della corte.
Ottaviano Fregoso enuncia, infatti, i compiti di colui
che, grazie alle sue qualità intellettuali, diviene l’
"istitutore"
del suo signore, il consigliere in cui è agevole
riconoscere le caratteristiche dei filosofi classici.
Nella seconda parte del libro, Bembo
viene interpellato sul tema dell’amore platonico, che, a
differenza di quello cortese,
descritto soprattutto come forma di galante
intrattenimento, viene esaltato in termini filosofici e
invocato come sola strada possibile per giungere al bene
divino. Conosciuto ancor prima che fosse pubblicato,
il Cortegiano conobbe una rapida diffusione
europea che testimonia il ruolo da esso ottenuto come
modello di comportamento e compiuta forma del vivere
nelle società di Antico regime: considerato un classico,
tradotto in spagnolo da J. Boscàn nel 1534, poi in
francese da J. Colin nel 1537 (una seconda traduzione
francese è compiuta da G. Chappuys nel 1580) , in
seguito, nel 1561, in inglese (l’autore è Sir T. Hoby) e
nel 1593 in tedesco, il testo di Castiglione fonda la
grammatica del comportamento cortigiano destinata a
costituire non solo il punto di riferimento per i
trattati posteriori, quali, ad esempio, il Galateo
e la Civil
conversazione, ma anche il manifesto
esemplare del perfetto "uomo di corte" fino alla
Rivoluzione francese. Le letterature europee del
Seicento documentano, infatti, una diffusione capillare
del testo di Castiglione: se in Spagna il
Cortegiano assume le fattezze dello Héroe
(1647) e del Discreto (1646) del gesuita
Balthasar Graciàn, in Francia diviene il Gentilhomme
di N. Pasquier (1611), il Courtisan français
(1632) di un autore rimasto anonimo, l’"honnête homme"
de L’art de plaire à la cour di N. Faret stampato
nel 1630.
Paola Cosentino |
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Percorsi Iconografici:
Raffaello, Ritratto di
Baldassar Castiglione, Musée du Louvre,
Parigi
Urbino, Palazzo Ducale, la
facciata dei Torricini
Raffaello, Ritratto del
cardinale Bibbiena, Palazzo Pitti,
Firenze
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