1. Matilde Serao, Saper vivere, 1910:
“Riuscire nel mondo, per una signorina, che significa? Maritarsi, maritarsi, in nome di Dio!”

2. Neera, Le idee di una donna, 1903:
“Io sono fra coloro che ritengono miglior sorte per una fanciulla un modesto matrimonio, anche poco felice, ad una esistenza solitaria fra le ricchezze, i piaceri, lo studio o qualsiasi altro compenso. Nel primo caso avrà della vita le commozioni piú intense e piú vere e quando nel brivido meraviglioso che l’uomo ignora, dalle sue stesse viscere palpitanti, ascolterà la voce del grande mistero, si sentira così alta, così prossima all’infinito da giudicare ben meschina ogni altra opera. Nel secondo caso potrà avere dei piaceri, delle soddisfazioni, dei compensi, ma non giungerà mai ad afferrare il senso profondo della vita, perché su di lei non è passato quel fremito di un essere nuovo che entra alla luce”.

3. Neera, “La donna libera”, in L’Illustrazione italiana, 1876:
“Che marito sarà quello che specula sul lavoro della donna? Che risultati avremo da questo invertimento dell’ordine sociale, antico come la civiltà e basato sulla diversa natura dei sessi?”
Marchesa Colombi, La gente per bene, 1877:
“Come? Il marchese Alfonso, che apre il suo scrigno a due battenti per farvi entrare le ventimila lire di rendita della sgnorina Matilde, sarà un fior di galantuomo [...] E quel poveretto che, per non piantare in asso una povera ragazza che lo ama, si rassegna a lasciarla lavorare per contribuire al mantenimento della famiglia, sarà una canaglia? Scusi signora Neera, ma io non l’intendo. Aiutarsi scambievolmente, non fu sempre il senso morale del matrimonio?”
[Da: Clotilde Barbarulli e Luciana Brandi, L’arma di cristallo]

4. Lettera di Ersilia Majino a Neera, 10 maggio 1901, su carta intestata “Unione Femminile. Periodico mensile. Direzione e Amministrazione: Milano, 7-Via Pietro Verri-7": “A Neera. E’ con profonda commozione ch’io prendo la penna per scriverLe, volendo rispondere alla lettera ch’Ella ebbe la bontà di mandarmi subito, perché Ella sappia che le nostre vie possono ben essere diverse, ma che l’autrice di Teresa ha e avrà sempre nell’animo d’ogni donna che sente e che pensa un culto d’ammirazione e d’amore. E per questo, pur conoscendo ch’Ella forse non ci approva, le abbiamo mandato e continueremo a mandarLe il nostro modesto periodico, come omaggio appunto a Lei che è veramente una grande eletta scrittrice e non può che essere amata e altamente apprezzata per quanto ha dato di sano alla letteratura del nostro paese, per quanto ha dato di pietà ai dolori che straziano tante esistenze, per quanto ha dato d’amore al suo ideale. Si possono avere opinioni diverse, diversa fede, ma credo che questo non toglie la facoltà di rendere giustizia non solo, ma d’ammirare l’opera di chi segue altra via. Ed io ho fede che Neera non è così lontana da noi come Ella quasi afferma. Appunto potrà tessere su altro telaio, ma col pensiero comune di dare l’opera nostra per l’elevazione della donna, perché essa possa vivere - a qualunque classe appartenga, colla possibilità di compiere i suoi doveri avendo riconosciuti i suoi diritti da una società oggi troppo ingiusta verso la donna - la madre - la lavoratrice. Con riverenza e affetto mi permetta di stringerle la mano” (Inedita, archivio Martinelli)
[Da: Antonia Arslan, Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900. A cura di Marian Pasqui. Premessa di Siobhan Nash-Marshall. Milano: Guerini, 1998]

5. Anna Kuliscioff, in Il fascio operaio, 1890:
“Per la maggioranza del sesso femminile, che è la donna operaia, nessuno parla della famiglia che va di mezzo; qui la donna ha da faticare per 10, 12 e in certe produzioni anche 14 e 16 ore. Qui si calpesta la femminilità, la maternità, l’allevamento dei figli, tutto ciò di cui si fanno arme gli uomini della borghesia quando è la donna del loro ceto che vuol entrare nelle professioni”.
[Da: Franca Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia. 1848-1892, 1963]