Questi giudizi critici su Una donna sono tratti da:
Matilde Angelone. In difesa della donna. La condizione femminile in «Una donna» di Sibilla Aleramo. Fortuna del romanzo nel mondo anglosassone. Napoli: Conte, 1990.

Ugo Ojetti: “Per la difesa della propria mente e della propria individualità nessuna donna in nessun romanzo di vent’anni fa sarebbe fuggita. Oggi è possibile e questo romanzo purtroppo è verosimile”. (1906)

Paola Mattei Gentili: “a questa donna che poi diverrà una ribelle manca la semplicità del cuore, il senso della virtú piú bella della donna. E le manca la fede... E fugge dalla culla del suo bambino”. (1907)

Laura Gropallo: “... la Nora di Ibsen ha figliato... Ma l’ultima goccia che fa traboccare il vaso agli occhi di Sibilla è la malattia che il marito contrae nell’assenza di qualche settimana della moglie... Argomento davvero meschino, perché se tutte le mogli dovessero abbandonare il marito malato per debolezze umane non è chi non veda come molti, troppi focolari dovrebbero rimanere deserti”. (1907)

Adelaide Bernardini: “E’ vero... altre prima di lei hanno commesso la pazzia di abbandonare i figli... [però quasi sempre] per un amante, travolte dalla passione cui hanno sacrificato la pace, l’onore, pronte a sacrificarle anche la vita! L’anonima protagonista, invece, commette quella viltà per egoismo; e commette quasi un infanticidio, lasciando il bambino in un ambiente da cui lei, cosciente e forte, fugge come da una galera” (1907)

Pirandello “Pochi romanzi moderni io ho letti che racchiudono come questo un dramma così grave e profondo nella sua semplicità e lo rappresentano con pari arte, in una forma così nobile e schietta, con tanta misura e tanta potenza” (1907)

Alfredo Gargiulo: “Nella Bibbia del femminismo al posto della Genesi dovrebbero stare due opere d’arte: Casa di bambola di Ibsen, e il romanzo Una donna di Sibilla Aleramo...”

Arturo Graf: “Mi accorgo di aver parlato di questo libro come dei romanzi non si usa parlare; ma ho già detto che questo non è propriamente un romanzo. E’ un libro di sdegno di alterezza di esecrazione, di giustizia e di castigo. Chi non si spaventa di queste cose, lo legga... (1906)